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L’autonomia regionale non si tutela con il partito della spesa e dell’intervento pubblico nelle aziende  

30 dicembre 2011

L'anno che sta terminando è stato uno dei più difficili dal dopoguerra.  Lo stress sulle imprese è stato fortissimo  e ha richiesto a tutti un impegno molto intenso.
Ci troviamo in una fase di recessione le cui avvisaglie si erano manifestate già nei mesi scorsi.

Azzardare delle previsioni, nella situazione che stiamo affrontando, è quanto mai difficile. Dobbiamo credere che i tasselli messi insieme in questi mesi nell’eurozona, da ultimo le misure adottate di recente dal Governo italiano, vadano al loro posto, evitando così la disgregazione della moneta unica. Analizzare, infatti, quali potrebbero essere le conseguenze di un tale evento, fa rabbrividire.

Lasciamole, così, al campo delle congetture; ma ricordiamole solo per richiamare ciascuno ai propri impegni. In base a delle simulazioni che riguardano le quattro maggiori economie dell’Eurozona, nel primo anno il PIL crollerebbe tra il 25% e il 50%; svanirebbero tra i sei e i nove milioni di posti di lavoro in ciascuna di esse; i deficit e i debiti pubblici raggiungerebbero valori di immediata insolvenza, persino in Germania.

La frantumazione dell’euro, come si vede, avrebbe costi non sopportabili. Posta così la questione, dobbiamo , per forza, credere a una conclusione positiva della vicenda. Una cosa è certa: questa non si avrà se non ci sarà l’impegno di tutti.

La manovra predisposta dal Governo Monti, approvata di recente, si muove in questa direzione. Ma non può bastare limitarsi ad applicare le regole e le norme imposte dal Governo. Occorre porre in essere comportamenti ed azioni che, in coerenza con il momento che stiamo vivendo, vadano nella direzione di produrre quei cambiamenti che si rendono necessari per affrontare la fase della “ricostruzione” quando saranno finiti i “bombardamenti” della recessione che stiamo vivendo.

La cosa peggiore è se “una volta usciti dai rifugi”, ci dovessimo trovare nella stessa situazione di contesto che abbiamo vissuto prima della crisi.

Le Regioni in questo dovranno svolgere un ruolo fondamentale. Le aumentate competenze e le barocche architetture istituzionali che le caratterizzano le pongono al centro del dibattito sul costo della politica. E’ indubbio che, dal loro nascere, e, soprattutto dalle competenze che sono state loro assegnate nella gestione dei servizi sanitari, è scaturita gran parte dell’aumento del disavanzo pubblico.

 Il modello “statalista” che ha caratterizzato il governo della maggioranza di queste istituzioni,  imperniato sulla spesa pubblica e su una articolata presenza di apparati politici, ha determinato tutto questo.

La discesa in campo di Berlusconi, tra i suoi obiettivi aveva quello di introdurre un cambiamento del modello di gestione della politica improntato su una diversa concezione economica.  Tutti ricorderanno la cosiddetta “rivoluzione liberale” che aveva come fondamento, sul piano del risanamento della  spesa pubblica, il federalismo.  L’assunto era: le regioni  sarebbero diventate più virtuose nel momento in cui fossero state responsabilizzate a spendere quanto si fosse prodotto sul proprio territorio. Tutte, a prescindere dalla dimensione!

 Un circuito che avrebbe comportato maggiore ricchezza e sviluppo per tutti applicando il sillogismo liberale:per far crescere la ricchezza delle persone bisogna abbassare le tasse. Per abbassare le tasse  bisogna trasformare lo Stato. E per trasformare lo Stato bisogna ridurre gli sprechi e le caste.

 Sembra tutto chiaro ed evidente. Sembra!

Tutto, invece, si confonde se  si leggono le dichiarazioni programmatiche del rinnovato Governo Iorio. Ma soprattutto si dedica qualche minuto alla lettura della sua risposta alla lettera degli industriali.

 Il Governatore in queste sue uscite conferma la sua fedeltà a un  modello statalista imperniato sulla spesa pubblica, difendendo, tra l’altro, la necessità dell’intervento pubblico  nelle aziende. La novità, rispetto agli ultimi dieci, è che, a completamento del trittico della sua visione del governo del Molise, rivendica anche il ruolo di rappresentante degli imprenditori molisani.

La sintesi è che il Governatore Iorio all’inizio della X legislatura regionale difende il ruolo di una politica che vuole finanziare, gestire e rappresentare il sistema delle imprese!

Questo sarebbe il cambiamento auspicato?

 Manca all’appello programmatico solo lo “jus primae noctis” per completare il sistema gerarchico feudale sulle questioni molisane!  

Fuori dalla facile ironia, si vuole ribadire la invadenza della politica e dei suoi apparati senza considerare che il Mondo, l’Europa, il Paese i cittadini, la ragione, chiedono e vogliono cose diverse!

 A prescindere dalla sua palese contraddittorietà (lui seguace del promotore della “rivoluzione liberale” che si conferma statalista convinto ) c’è questo aspetto che sconcerta.

Salvare l’Europa è una esigenza di tutti: Anche dei Paesi che non ne fanno parte. Un obiettivo per il quale il modello di gestione imperniato sulla centralità della spesa  pubblica va cambiato a tutti i costi. Inoltre, i cittadini chiedono, a viva forza, di eliminare gli apparati improduttivi che pesano sulle tasse delle persone e delle imprese. Così la necessità della crescita è un comandamento che appartiene, ormai, a tutte le posizioni politiche.

 Bene di fronte a questo quadro, nel  Molise, il richiamo alla discontinuità fatto dagli industriali diventa : minimalismo, nichilismo, liberismo sfrenato.

Certo nessuno vuole reagire a queste parole in libertà, denunciando il precario equilibrio concettuale che c’è tra termini tra loro contraddittori!

 Però qualche risposta un po’ meno evanescente e stizzita sarebbe dovuta,  almeno, a chi deve provare a produrre ricchezza rischiando tutti i giorni il proprio capitale, con le difficoltà, spesso insormontabili, e i costi che, nel Molise, questo comporta.

Se non altro per evitare che la difesa imperterrita del modello di gestione imperniato sulla spesa pubblica venga considerata solo come un modo per assegnare la presidenza di aziende destinatarie di risorse pubbliche o di qualche ente regionale,  a politici che l’elettorato non ha considerato più di moda.

 Operazione che, tradotta nel linguaggio della berlusconiana “rivoluzione liberale” prima maniera, in sintesi, significa: come potenziare una clientela facendola pagare ai cittadini!

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