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"Serve una politica industriale che guardi al futuro" 

19 dicembre 2011

Articolo del Presidente di Confindustria Molise Edoardo Falcione pubblicato sul Sole 24 Ore del 19/12/2011

“La situazione di crisi rappresenta oggi il minimo comune denominatore di tutte le nostre imprese, da Nord a Sud del Paese. Per tentare di risolvere tali situazioni, bisognerebbe intervenire quanto prima sulle condizioni di contesto in cui operano le imprese, perché l’intreccio fra problemi strutturali irrisolti e nuove minacce globali rende l’economia molisana ancora più fragile ed esposta”. Così Edoardo Falcione, presidente di Confindustria Molise, traccia le fila del complesso momento dell’industria regionale.

“I problemi - prosegue Falcione - purtroppo sono tanti: scontiamo l’assenza di una politica industriale strategica su cui fondare lo sviluppo del territorio; abbiamo un gap infrastrutturale che penalizza fortemente le attività economiche; una sanità al collasso che costringe le imprese a sopportare una tassazione locale pesantissima”.

Come favorire dunque la ripresa economica del Molise? “Migliorando le condizioni di contesto - sottolinea appunto Falcione - perché aspettarsi interventi dello Stato sul piano delle grandi infrastrutture, diciamolo con  franchezza, è utopistico. Inoltre, i fondi comunitari e la dotazione di quelli nazionali destinati al riequilibrio delle aree sottosviluppate, per decisione del Governo nazionale, vengono riprogrammati per assicurare gli interventi anticrisi. In tal modo, la loro consistenza, già limitata per i nostri effettivi fabbisogni, si riduce ulteriormente”.

E sul ruolo delle banche nella vita delle imprese e, quindi, nello sviluppo industriale del territorio Falcione commenta così: “banche e imprese sono due sistemi fondamentali per lo sviluppo. Dalla loro capacità di fare strategie di lungo respiro, dalle loro competenze a rendere consulenza a un sistema non sempre pronto a intercettare le opportunità di un mercato complesso come quello finanziario, nascono le fortune delle imprese, la loro capacità di consolidarsi, di crescere, di fare strategie vincenti. Riscontriamo, purtroppo, soprattutto per le aziende più piccole, situazioni di razionamento del credito anche per linee già accordate. Inoltre, a fronte di un significativo aumento delle informazioni qualitative richieste dalle banche, in seguito all’entrata in vigore del trattato di Basilea, gli istituti continuano a mostrare una sostanziale incapacità di valutare i piani di sviluppo imprenditoriale e, conseguentemente, si rivelano poco disponibili a supportarli. A tutto ciò si aggiunge la carenza di liquidità del sistema bancario, che frena da qualche settimana l’erogazione dei prestiti”.

Una condizione, questa, che mette a rischio la sopravvivenza stessa delle aziende e dunque il mantenimento di posti di lavoro. “Sfortunatamente - ricorda Falcione - abbiamo intere categorie che soffrono per ritardi nei pagamenti che superano l’anno. Si è determinata, infatti, una spirale perversa, all’interno della quale si trovano invischiate decine di imprenditori molisani, che vivono di commesse della pubblica amministrazione. Sollecitiamo, da tempo, la Regione Molise ad accelerare i tempi di pagamento sui crediti che le nostre imprese vantano nei confronti degli enti regionali. Si registrano, infatti, ritardi che vanno dai 6 mesi fino a 3 anni dovuti anche alla necessità della regione di rispettare il Patto di stabilità”.

“Oggi - ribadisce il presidente - tutti i soggetti, a livello globale, europeo e nazionale, sono accomunati dalla necessità di perseguire obiettivi comuni. Questo vale ancor di più a livello regionale, dove non ha molto senso lottare per un’accentuata autonomia, come vorrebbero i più spinti sostenitori del federalismo. Il vantaggio di questa visione strategica emerge, a mio avviso, soprattutto in relazione ai fattori di competitività. Noi crediamo che si possa incrementare il loro valore solo con strategie di largo respiro, perché non ha senso creare tanti piccoli ‘recinti’ all’interno dei quali ogni regione si muove a seconda delle proprie risorse e capacità. Si finirebbe - conclude - per operare a compartimenti stagni, senza fare massa critica e senza creare un tessuto diffuso di competenze che può generare eccellenze nel lungo termine”.

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